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Ritorno in Patria

Il suo ritorno voleva essere umile e nascosto ma, stando alla tradizione, al suo appressarsi tutto uno scampanio festoso e spontaneo dalle diverse torri avvolse la città. Partito una quindicina d’anni prima lasciando fama e rimpianto come di un santo, è ben immaginabile la gioia e l’affetto con cui venne accolto. Egli non si scompose. Era già abituato a sostenere l’entusiasmo dei suoi ammiratori con modestia e umiltà.

Riprese infaticabile il suo lavoro nella comunità, nella chiesa, tra i bisognosi.

I tempi non erano mutati in meglio: erano, se mai, peggiorati. Si era in pieno scisma e nella più grande confusione. Si parteggiava per un papa o per l’altro anche a suon di bastonate o peggio. Molti dei piccoli signorotti erano scomparsi ed a contendersi il potere erano ormai nomi più grossi: ma i piccoli stracci saltavano ancora per aria.

Antonio tornò ad essere il conforto e la difesa di tutti. Tornò a passare molte ore al confessionale, sempre più richiesto man mano che la fama si diffondeva di terra in terra; ne uscivano vere conversioni, vero conforto, vera gioia. Non v’è dubbio che molti vi andavano anche per motivi più pratici e più modesti; si cominciava infatti a parlare di virtù, ossia della possibilità che Antonio aveva di curare e di guarire; ed egli benediceva, pregava e curava, ma sapeva approfittare di tutto per sollevare i cuori ad un livello più spirituale.

E di nuovo dal confessionale alle case dei bisognosi, e da queste, con passo affrettato, al convento, quando la campana chiamava i monaci alla preghiera e agli altri impegni comunitari. Dovunque si trovasse infatti, quando udiva la campana, egli troncava qualunque cosa e accorreva al richiamo di quella vita che aveva scelto e che amava sinceramente. Quest’amore alla comunità è una caratteristica costante che si ritroverà in appendici commoventi, almeno secondo certi racconti, persino dopo la sua morte. Si dice infatti che più volte i frati abbian sentito la sua voce in coro quando ormai il corpo era sepolto sotto la porta della sacrestia e che, se l’incaricato si scordava o tardava a suonare la campana del coro, questa suonava da sé, quasi toccata dalle mani d’Antonio.

Così la giornata gli scorreva veloce e sempre più spesso e sempre più a lungo se ne restava le notti a pregare in chiesa.

Ben presto gli venne affidato l’ufficio di Priore. Non lo fu, come taluni affermano, ininterrottamente sino alla morte: anche a quel tempo si usava alternarsi in questi incarichi e d’altronde c’è notizia sicura di altri che lo furono prima che egli morisse, come il P. Giambattista Stazzi. Ma certamente lo fu a più riprese e per lungo tempo. E vi diede l’esempio di una misura, di un equilibrio, di un’umanità che talvolta, proprio perché coll’anima alle cose del Cielo, difetta nei santi.

La prova più chiara la diede nel farsi promotore della riedificazione del vecchio romitorio e della chiesa. Proprio lui, così severo e così poco esigente con sé stesso, vedeva il romitorio troppo tetro, troppo angusto per i suoi monaci. E non è che costoro lo forzassero in questa iniziativa; attaccati alle vecchie tradizioni, è più verosimile anzi che fossero poco entusiasti della novità, che pareva andar contro la povertà e l’austerità monastica. Anche gli altri erano monaci tutti spirituali, forse anche un po’ vecchiotti, come lo era il Beato Giacomo, che morirà nel 1420. Ma Antonio convinse i confratelli sull’opportunità dell’opera, forte anche delle esperienze della vita agostiniana come l’aveva vissuta a Tolentino e nelle Puglie.

Decisa perciò la ricostruzione, n’affidò agli artisti e ai tecnici, secondo le disposizioni monastiche, lo studio e l’esecuzione, ed egli si diede alla ricerca del finanziamento, appellandosi alla carità di tutti. Il popolo rispose con generosità, specie quello minuto, che era oggetto particolare delle sue cure apostoliche. Ci furono anche alcune donazioni di case e terreni o alla Comunità o alla persona stessa di fra Antonio Migliorati, effettuate dal 1401 in poi; beni che furono venduti per continuare la fabbrica. Ma non dovettero essere sufficienti, dato che l’opera si protrasse per lunghi anni e fu terminata solo dopo la morte del Beato, verso il 1468.

Del suo apostolato e dei suoi impegni religiosi il beato nulla diminuì durante l’esecuzione dei lavori. Già abituato a sacrificare il sonno, ricuperava nella notte in preghiera e penitenze quanto credeva di aver trascurato durante il giorno. Ecco perché, man mano che cammina verso la vecchiaia, egli non attenua, ma intensifica sempre più le austerità della vita. E ci stupisce veramente come, con tanti sacrifici nel vitto, nelle penitenze corporali e soprattutto nel sonno, sia potuto arrivare a così tarda vecchiaia con una salute ancora di ferro e una robustezza e un’attività veramente impressionanti.