↑ Return to Beato Antonio

La fanciullezza

Nella libertà della campagna, sotto i cieli aperti e luminosi, un bimbo che nasce è un po’ il figlio di tutti: tutti lo desiderano, tutti lo accolgono, tutti lo nutrono, tutti concorrono ad educano. È’ una cosa bella e formativa, ma nel nostro caso anche di grande onore per quei montanari che, se hanno avuto il loro santo, se lo sono anche guadagnato. Però il merito più grande è stato certo dei genitori. La loro umile casa si era accesa della luce gaia di una presenza nuova che era un dono; il loro cuore si era aperto a una nuova realtà d’amore; ma essi sentirono soprattutto una nuova responsabilità. Non tanto la responsabilità di una crescita sana e vigorosa; se Dio scampava dalle ricorrenti e micidiali forme di peste, a renderlo sano e robusto ci avrebbero pensato il sole, l’aria, la neve, il vento, il bisogno continuo di andare su e giù. Ma la preoccupazione vera era la formazione dell’animo, l’arricchimento interiore e l’impostazione cristiana della vita. E non c’è dubbio che tali urgenze le sentissero tanto più profondamente questi genitori già anziani che, navigando ormai verso l’ultimo approdo, avevano ben chiaro avanti agli occhi ciò che conta e ciò che non conta nella vita, e di questa esperienza volevano fare il massimo dono alla loro creatura.

I vari biografi si diffondono nel descrivere il primo influsso dei genitori sul piccino. I nomi di Gesù e Maria furono i primi messi sulle labbra e sul cuore del bimbo ed egli li coltivò con tenera devozione per tutta la vita. L’apprendimento delle prime orazioni e l’amore per la preghiera, l’accettazione del sacrificio e della durezza della vita, la devozione alla passione di Gesù e alle sofferenze della sua Madre, l’apprezzamento dei valori dello spirito furono cose che il piccolo Antonio cominciò ad imparare assai presto, presentate senza fronzoli, nella loro essenzialità e testimoniate con scarna crudezza dalle parole e dalla vita. Il piccolo poi rifletteva molto su questi insegnamenti, specie nelle lunghe solitudini dei primi piccoli lavori, quando badava alle pecore al pascolo nello scenario immacolato del sole e della montagna. Così i semi cominciarono a germogliare. Ed è stupefacente vedere come, anche nella maturazione degli anni più avanzati, questi germi ricevuti dai genitori e dall’ambiente non verranno accantonati, ma resteranno alla base della spiritualità del beato e i frutti ne richiameranno costantemente le origini.

Antonio cominciò ben presto a frequentare la vicina chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio e a raccogliervisi in preghiera. Aveva scoperto il contatto con Dio e questo costituì uno dei fatti determinanti della sua vita.

L’abbadia, insieme a gran parte del territorio circostante, apparteneva ai Benedettini del Presidiato di S. Vittoria, il quale aveva avuto origine dall’Imperiale Abbadia di Farfa, nella Sabina. A quel tempo i Benedettini del Presidiato avevano raggiunto un grande prestigio e un grande potere su vaste zone del Piceno dove, insieme alla vita religiosa, curavano intensamente lo sviluppo sociale ed economico e la diffusione della cultura. L’abbadia dei SS. Vincenzo e Anastasio, come quella non lontana della Madonna dell’Ambro, testimoniano come questi benemeriti religiosi spingessero il loro apostolato e la loro azione sociale nei luoghi più remoti ed impervi. Le due comunità non dovevano essere numerose, sufficienti tuttavia a curare intensamente i bisogni dei fedeli. Come erano soliti altrove, anche qui avevano organizzato delle scuole libere e gratuite per i fanciulli. E il piccolo Antonio fu ben presto ammesso in queste scuole.

I monaci già avevano avuto modo di osservarlo sia nella chiesa che fuori, perché essi mantenevano intensi contatti con i fedeli. Li aveva colpiti la sua serietà, l’impegno che metteva in tutte le cose, e furono ben lieti di prenderlo sotto il loro controllo per impartirgli non solo una cultura che gli aprisse molte porte nella vita, ma soprattutto per indirizzarlo nelle sue scelte; un po’ c’era anche l’interesse per una possibile vocazione religiosa.

Sembra che il beato abbia frequentato con regolarità la scuola di questi Benedettini per tutta la sua giovinezza fino a che non entrò fra gli Agostiniani di Amandola e, se si pensa all’epoca di cui si parla, questo era un privilegio assai raro anche per chi abitava dentro le mura di un castello o di una città.

Così crescendo, il bimbo si distingueva sempre più nella pietà e nello studio e i monaci gli si affezionarono moltissimo e lo curarono con particolare attenzione. Uno di essi viene ricordato in modo speciale, anche se la tradizione non ce ne ha consegnato il nome. Era uomo di grande santità e dottrina che, scoperte le doti e le promesse di quel bimbo, se ne fece amico, ne divenne il maestro e consigliere e, insieme ai suoi genitori, fu il forgiatore della personalità sempre crescente di Antonio. Forse sperava anche di farne un buon monaco benedettino, però quando si accorse che altre erano le aspirazioni del giovane, non lo contrariò, ma l’aiutò a capirsi sempre meglio e a realizzare i suoi ideali.