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Nella Gloria

Già durante la sua vita Antonio era considerato un santo, ma il culto esplose subito dopo la morte e si dilatò nelle terre vicine ad Amandola e per tutto il Piceno e poi, tramite i suoi confratelli agostiniani, in tutto il mondo.

Lo si prese ad invocare in ogni necessità. Gruppi sempre più frequenti e numerosi cominciarono ad accorrere al suo sepolcro. Tra di essi vi erano spesso i miracolati che venivano per render grazie e per sciogliere i loro voti.

E così s’iniziò subito un’usanza assai interessante: si confezionò un libro che venne chiamato « Libro dei miracoli » , in cui venivano man mano registrati i prodigi più notevoli su dettatura degli stessi miracolati e scritti il più delle volte dal pubblico notaio. Il libro va sino al 1756 e vi sono annotate guarigioni improvvise di storpi, paralitici, ciechi, epilettici, appestati, liberazioni da disgrazie gravi, e persino risurrezioni di morti. Il libro manoscritto veniva conservato sotto l’urna. È da questo libro soprattutto che sono stati desunti i 155 miracoli esaminati per la beatificazione d’Antonio.

Alcuni di questi prodigi sono stati affrescati nelle pareti del Santuario ad opera d’Orazio Orazi da Camerino (1908), e precisamente:

1) il Beato che salva un operaio caduto dal campanile (1464);

2) il Beato che libera dalla peste Troilo d’Arcangelo Burgarelli e tutta la città di Amandola (1523);

3) il Beato che risuscita il piccolo Giuseppe Trovarelli morto per caduta da un’alta finestra.

Ben presto si cominciarono ad organizzare pubblici pellegrinaggi alla tomba del Beato Antonio, specie nei bisogni e nelle calamità. Frequenti quelli di Comunanza per ottenere la pioggia; e vi si partecipava con tanta fede che in processione si andava con gli ombrelli.

Ad Amandola si cominciò a solennizzare il 25 gennaio, giorno della morte del Beato, con festa di precetto ed astensione dai lavori servili. Questo venne decretato in un’adunanza del Consiglio Generale del 1460, ossia appena dieci anni dopo la morte d’Antonio; ma è chiaro che ciò che il Consiglio imponeva per tutti era già praticato da tempo dalla maggioranza. La delibera venne poi introdotta nella riforma degli Statuti Comunali del 1464. E quando questi Statuti vennero approvati nel 1470 con bolla pontificia, ciò venne a costituire anche un’approvazione implicita del culto da parte della S. Sede.

Anche Montefortino intanto seguiva l’esempio di Amandola nel solennizzare il 25 gennaio con festa di precetto, mentre diverse altre terre lo proclamavano comprotettore. Sorsero anche manifestazioni tipiche e folkloristiche che durarono per secoli, come l’accoglienza delle processioni da parte delle confraternite amandolesi, l’astinenza e il digiuno del 24 gennaio, la processione a piedi nudi e la veglia notturna prima della festa del Beato.

Le gesta del Beato Antonio intanto venivano tramandate a voce attraverso i racconti popolari, scarni ed essenziali. Per l’attendibilità di questi bisogna notare che le genti del Piceno non hanno grande fantasia nell’inventare, ma se mai nel colorire; e dove non ci sia l’allenamento della cultura, i racconti rimangono sempre quelli. Quindi le tradizioni, spolpate da qualche incrostatura di colore, non vanno sottovalutate.

In tutti i modi non tardò chi raccolse in volume le testimonianze e le tradizioni. La prima biografia del beato fu scritta in latino da Donato Smeraldi nel 1495 e poi compendiata in italiano da G. B. Picucci nel 1550. Tralasciando le altre di minore importanza, un’altra in latino fu scritta nel 1654 da Giuseppe Palmieri.

Di queste fonti si avvalse e ne fu il compendio il Sommario di Beatificazione, stampato a Roma nel 1758 e che costituisce la base principale per la biografia del Beato.

La beatificazione ufficiale, che non è altro che l’approvazione solenne del culto reso ab immemorabili , ossia da sempre, al Beato, fu fatta l’11 luglio 1759 dal papa Clemente XIII.

In quanto al corpo del Beato Antonio, esso rimase nella sua bella cassa di noce fino al 1641, quando Domenico Malpiedi diede un nuovo assetto a tutta la chiesa. Allora il corpo fu messo in una nuova urna di legno chiusa da quattro chiavi e venne posto, insieme al gruppo della Pietà, dietro l’altare maggiore e protetto da una cancellata di ferro. Fu una soluzione infelice perché i fedeli non potettero più accostarsi all’urna e il culto ne scapitò. Tanto più che in quegli stessi anni gli Agostiniani dovettero abbandonare Amandola per un decreto di soppressione di papa Innocenzo X che colpiva le comunità piccole. Vi rientrarono dieci anni dopo, per intervento prodigioso del Beato.

In occasione del processo di beatificazione era stato costatato che nell’urna vi era «quantità di polvere e di tele di ragno. il cappuccio tarlato…». Nulla però fu fatto per migliorare la situazione. Fu nel 1785 che si fece una ricognizione canonica per coprire di nuove vesti il Beato. In tale occasione il corpo fu osservato e toccato con cura e venerazione in tutte le membra e il verbale ce lo descrive « pieno, carnoso, molle, cedente. contrattabile e tremulo… come in un corpo vivente ».

Ma l’incorruzione e la consistenza di quelle sacre spoglie fu sperimentata da una prova ben altrimenti macabra e drammatica in una profanazione perpetrata dai soldati francesi l’11 giugno 1798. Erano soldati esasperati nella lotta contro bande partigiane forse organizzate da preti. Concentratisi nelle alture; avevano sbaragliato i partigiani a Rustici. Questi ripararono dentro Amandola, ma anche i Francesi vi entrarono e fecero una feroce rappresaglia. Un gruppo di soldati del Generale Lahure si acquartierò nel convento agostiniano. La sera, forse anche fradici di vino, dopo aver fatto man bassa, com’eran soliti, di tutti gli oggetti di valore, spaccarono l’urna del Beato, n’estrassero il corpo, lo spogliarono nudo e lo issarono faticosamente su un pulpito che era sulla sinistra; poi lo avvolsero di un manto rosso e lo insultarono sacrilegamente tra un baccano d’inferno, mentre l’organo strimpellava a tutto vapore la Marsigliese.

È triste questa scena e mostra che nessun popolo ha vomitato del tutto la giungla da cui proveniamo. Ma l’abbiamo voluto ricordare per sottolineare quanto questo corpo sia ancora consistente nella sua incorruzione per un dono di Dio che vuole far risplendere la santità del Beato Antonio.

È poco dire che esso aspetta in pace, nella sua ricca urna recentemente rinnovata, la gloria della risurrezione. Quelle ossa germogliano ancora nella tomba e, sebbene morte, parlano ancora. La loro vitalità si manifesta nelle grazie e nei prodigi che i devoti ottengono con abbondanza. Ma con questi prodigi il Beato Antonio attira le anime dei devoti e, quasi ancora seduto nell’intimo del confessionale, le invita a tenere gli occhi al Cielo e alle promesse delle cose eterne.